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Henrietta Leavitt e la misura dell’Universo68
Henrietta Leavitt e la misura dell’Universo
Luisa Spairani
Le variabili Cefeidi sono al centro dell’attenzione in astronomia da quando, nel 1912, Henrietta Leavitt scoprì una relazione matematica tra il loro periodo e la luminosità intrinseca. Da allora sono impiegate come “candele standard” per la misura delle distanze cosmiche. Una scoperta, dunque, che aprì la strada ai lavori che rivoluzionarono le nostre conoscenze sulla Galassia e sull’UniversoMisurare le distanze è un tema ricorrente in astrofisica: le distanze degli oggetti celesti, tuttavia, sono notoriamente difficili da calcolare. Due stelle o galassie possono avere infatti una diversa luminosità reale, anche se possono sembrare simili, e viceversa. È possibile utilizzare metodi geometrici per determinare la distanza degli oggetti che sono nelle vicinanze del Sistema Solare, diciamo entro circa 150 anni luce da noi, ma per oggetti più lontani è impossibile utilizzare qualsiasi metodo semplice per calcolare le distanze. Questa era la situazione nella ricerca astronomica agli inizi del secolo scorso. Molti nuovi oggetti erano stati scoperti, ma senza conoscere le loro distanze era impossibile inserirli in qualsiasi modello di Universo. In realtà, allora non si sapeva nemmeno che viviamo in una galassia chiamata Via Lattea, e che vi sono molte altre galassie nell’Universo come la nostra. Questo grosso handicap fu elegantemente rimosso da una scoperta di grande importanza effettuata nel 1912 dall’astronoma americana Henrietta Swan Leavitt: il modo per determinare la luminosità reale di un particolare tipo di stelle. Per valutare la portata di questa scoperta, bisogna prima collegare tra loro 3 elementi differenti: le stelle variabili, la fotografia astronomica e le “donne computer”.
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Vito Sguera, un cacciatore di lampi cosmici “superveloci”64
Vito Sguera, un cacciatore di lampi cosmici “superveloci”
Massimiliano Razzano
Da bambino subiva il fascino delle splendide fotografie del cielo. Ora studia le sorgenti di raggi X nella Galassia, una ricerca che gli ha portato un prestigioso riconoscimento internazionaleIndagare il cielo alla scoperta di fenomeni nuovi e inattesi è la sua passione. 35 anni compiuti l’anno scorso, Vito è un giovane ricercatore originario di Barletta, che ha alle spalle una laurea a Bologna e un Dottorato di Ricerca a Southampton. Nelle sue “investigazioni private” del cielo, Vito ha anche scoperto una nuova classe di sorgenti di raggi X transienti che lo hanno portato alla Medaglia Zeldovich, prestigioso riconoscimento internazionale dedicato ai giovani ricercatori. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza, che porta avanti con grande passione e un pizzico di ironia. All’alba della scoperta aveva infatti pensato di chiamare i nuovi oggetti Very Interesting Transient Objects, il cui acronimo è VITO. Ma, confessa scherzando, forse sarebbe stato troppo megalomane.
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Il premio Occhialini a Ignazio Ciufolini58
Il premio Occhialini a Ignazio Ciufolini
Andrea Simoncelli
Nel settembre 2010 è stata consegnata la medaglia Occhialini a Ignazio Ciufolini che, grazie ai satelliti LAGEOS, ha confermato una previsione della Teoria della Relatività Generale sulla distorsione dello spazio-tempo a opera di una massa in rotazioneAncora una volta, nonostante le tante difficoltà in cui versa la ricerca scientifica in Italia, un eccellente lavoro vede il contribuito fondamentale di un nostro connazionale. Questa volta bisogna ringraziare Ignazio Ciufolini, docente di fisica presso l’Università del Salento, che a Londra ha ricevuto il 30 settembre scorso il prestigioso premio Occhialini. A consegnare il premio al nostro connazionale è stata un nome illustre dell’astrofisica moderna: Jocelyn Bell Burnell, presidente dell’Institute of Physics britannico, che scoprì negli anni ’60 la prima pulsar. Al prof. Ciufolini è stata riconosciuta l’importanza delle sue ricerche condotte per verificare una previsione della Teoria della Relatività Generale di Einstein sulla distorsione spaziotemporale indotta da una massa in rotazione (il cosiddetto effetto Lense-Thirring), utilizzando i satelliti LAGEOS 1 e 2.
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L’ultima frontiera del SETI48
L’ultima frontiera del SETI
Seth Shostak
Il progetto SETI non ha ancora rilevato alcun segnale da E.T. ma con l’impiego delle nuove tecnologie le prospettive per il futuro sono più roseeNonostante mezzo secolo di esperimenti SETI (acronimo di Search for Extra Terrestrial Intelligence, cioè ricerca di intelligenze extraterrestri), ancora non sappiamo se c’è davvero qualcuno “là fuori” con un’intelligenza almeno paragonabile alla nostra. Questo dato di fatto potrebbe suonare piuttosto scoraggiante se non si esamina il contesto in cui esso si pone. Infatti, detta francamente, la moderna ricerca SETI ha appena iniziato a “scalfire” la sfera celeste. Se è vero che, per una data direzione, sono state fatte scansioni in onde radio di vaste regioni dello spazio, queste sky surveys hanno osservato per un tempo molto limitato. La conseguenza è che le ricerche all-sky svolte sono spesso molto meno sensibili delle ricerche mirate, in cui le stelle sono controllate individualmente. I sistemi stellari deliberatamente esaminati dal SETI, alla ricerca di trasmissioni molto deboli in un’ampia banda di frequenze radio, sono solo circa 750 e, in una qualsiasi data frequenza, sono stati osservati per un breve periodo di tempo.
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L’Universo nei computer38
L’Universo nei computer
Franco Vazza
Viaggio (virtuale) nell’avveniristico mondo delle simulazioni cosmologicheOgni notte a tutte le latitudini del globo, piccoli o giganteschi telescopi ottici puntano i più oscuri recessi del Cosmo in cerca di galassie primordiali o nebulose opache, che nessun occhio umano ha potuto mai vedere finora. Complessi sistemi di grandi parabole radio lavorano senza sosta per raccogliere le onde radio emesse dai getti di materia in fuga da buchi neri o resti di supernove. Satelliti automatici fluttuano nello spazio quasi vuoto all’esterno dell’atmosfera, catturando i fotoni X irraggiati milioni o miliardi di anni fa da quasar lontani o da stelle binarie in collisione. Tutti questi fotoni raccolti a tutte le lunghezze d’onda e con tutti i possibili strumenti, e analizzati nei giorni o negli anni che seguono, determinano la lenta e progressiva crescita della nostra conoscenza del Cosmo. Non tutti sanno che, contemporaneamente e in luoghi molto meno esotici (come scantinati di Università o capannoni refrigerati del tutto privi di persone) lo studio dell’Universo procede attraverso il ronzio di processori e chip di computer, un byte alla volta, nello snodarsi di complicati software di calcolo dedicati all’astrofisica.