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Sinestesia e serendipità in astronomia54
Sinestesia e serendipità in astronomia
Gabriella Bernardi
Un excursus tra le curiose figure retoriche e le scoperte più o meno fortuite che hanno caratterizzato la storia dell’astronomiaEsiste la sinestesia nella scienza? Questa domanda rivolta a una platea farebbe probabilmente scendere un grigio silenzio. E proprio il termine grigio silenzio è un esempio di sinestesia: associare al silenzio un colore è improprio dato che il silenzio viene rilevato acusticamente e non visivamente. Quindi per sinestesia s’intende una figura retorica che combina sostantivi o aggettivi che si riferiscono a sfere sensoriali differenti. In arte e letteratura pullulano le sinestesie, ma anche la scienza può portare qualche caso interessante. Pensando al campo astronomico, ne sono esempi l’anno luce e la temperatura di colore. L’anno luce è la distanza percorsa dalla luce in un anno, universalmente nota ai più, ma forse è meno nota la ragione per cui si usa questa particolare unità di misura. In astronomia le distanze sono così grandi che i normali chilometri che usiamo quotidianamente sono assolutamente poco pratici. Plutone dista da noi circa 6 miliardi di km ovvero 0,6 millesimi di anno luce, la stella più vicina si trova approssimativamente a 40.000 miliardi di km, cioè a 4,3 anni luce, mentre la Galassia in cui risiediamo è un disco del diametro di circa 100.000 anni luce, pari grossomodo a un miliardo di miliardi di km! Tornando alla sinestesia, l’anno luce è un’espressione che coniuga un vocabolo legato alla percezione del tempo con un altro legato al senso della vista per esprimere un’unità di misura di lunghezza: in un certo senso, un curioso esempio di “sinestesia multipla”. Anche se si tratta indubbiamente di una sinestesia, la temperatura di colore non è un esempio altrettanto noto, ma il suo significato non è così arcano come potrebbe sembrare a prima vista.
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Paolo Farinella: il bambino blu che seppe volare su un asteroide46
Paolo Farinella: il bambino blu che seppe volare su un asteroide
David M. Lucchesi, Adriano Campo Bagatin, Alessandro Rossi
“Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il piccolo principe sia l’asteroide B 612” (Antoine de Saint-Exupéry)Il 25 marzo del 2000 ci raggiunse la triste, e tanto temuta, notizia che Paolo Farinella non aveva superato l’ennesima crisi cardiaca mentre era in attesa di un trapianto di cuore presso l’unità ospedaliera di Bergamo. La notizia fece rapidamente il giro degli amici e colleghi di Paolo, dall’Italia all’Europa, dal vecchio al nuovo continente, raggiungendo tutti coloro che ormai da diversi mesi seguivano con grande apprensione la sorte di Paolo. Paolo, uomo mite e cortese e dal sorriso dolcissimo, era stato un bambino blu, nato con una grave malformazione cardiaca che ne aveva precluso una regolare crescita fino a quando un’operazione di estrema avanguardia per l’epoca, compiuta nel 1961 quando Paolo aveva appena 8 anni, gli permise di sopravvivere e di diventare colui che molti di noi, come allievi, colleghi e amici, hanno avuto la fortuna e l’onore di conoscere e apprezzare. Paolo è stato un brillantissimo scienziato, un ricercatore curioso capace di collegare fra loro campi di ricerca apparentemente diversi e lontani, un vorace lettore e uno scrittore insuperabile, sia per la chiarezza espositiva con cui riusciva a rendere semplici aspetti e concetti complicati, sia per la rapidità della scrittura e il rigore, doti importanti nella ricerca moderna. Trent’anni or sono le scienze planetarie subirono una rapida metamorfosi con lo studio dei piccoli corpi del Sistema Solare, delle loro proprietà chimico/fisiche e dell’evoluzione dinamica delle loro orbite, dettata da collisioni e risonanze gravitazionali e da sottili, quanto complesse, forze non-gravitazionali. Paolo è stato uno dei protagonisti di questa rivoluzione, forse il principale, sicuramente il più profetico. A 10 anni dalla sua scomparsa desideriamo, anche se in maniera imperfetta e incompleta, ricordare Paolo in queste poche pagine, e con lui il suo impegno di scienziato e quello civile, dal disarmo alla divulgazione di una vera cultura scientifica.
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Il cielo con gli occhi di INTEGRAL40
Il cielo con gli occhi di INTEGRAL
Lara Sidoli
Le osservazioni del satellite INTEGRAL stanno rivoluzionando l’astrofisica X degli oggetti binari contenenti stelle di neutroni, portando alla scoperta di numerose sorgenti dal comportamento peculiare nella nostra Galassia, i cosiddetti “Supergiant Fast X-ray Transients”L’astronomia nei raggi X sta vivendo la sua epoca d’oro. Sono numerosi, infatti, i satelliti attualmente in orbita che osservano l’Universo in questa speciale banda dello spettro elettromagnetico. Il satellite dell’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) INTEGRAL è uno di questi. Lanciato nell’ottobre 2002 e tuttora in orbita, sta fornendo un contributo fondamentale all’astrofisica delle alte energie attraverso la scoperta di nuove classi di sorgenti che emettono la maggioranza della loro radiazione nei raggi X e nei raggi gamma di bassa energia. Con INTEGRAL è stata avviata una vera e propria rivoluzione per quel che riguarda, in particolare, lo studio dei sistemi binari X di grande massa, quelli cioè in cui un oggetto compatto (stella di neutroni o buco nero) accresce materia da una stella compagna massiva (con una massa tipica tra le 15 e le 30 masse solari). Prima del lancio di INTEGRAL, le sorgenti binarie X di grande massa venivano classifi- cate in due sottoclassi: i sistemi binari X contenenti stelle compagne di tipo Be (composti cioè da una stella di neutroni e da una stella massiccia di sequenza principale di tipo B con righe di emissione) e le binarie X di grande massa, contenenti stelle compagne del tipo supergigante blu. La prima sottoclasse contiene un centinaio di esemplari osservati finora nella nostra Galassia, mentre la seconda risultava molto meno popolata, con appena una decina di membri circa.
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La stabilità del Sistema Solare32
La stabilità del Sistema Solare
Greg Laughlin
Le orbite dei pianeti resteranno stabili? La teoria del caos rende incerto il futuro remoto del nostro sistema planetarioIl mondo si trova di fronte a problemi scoraggianti – cambiamenti climatici, recessione, crisi economica – ma con la parola “mondo” solitamente descriviamo non il pianeta stesso ma tutto quello che vive sulla sua superficie. Diamo per scontata la stabilità nel tempo delle orbite dei pianeti. Nessuno si preoccupa del fatto che Mercurio un giorno potrebbe destabilizzare le zone più interne del Sistema Solare. E non c’è neanche alcun timore che Marte potrebbe un giorno collidere con la Terra. Dopotutto, i pianeti stanno orbitando stabilmente attorno al Sole da 4,54 miliardi di anni. Si potrebbe pensare che, se qualcosa doveva andare storto, sarebbe già successo. Tuttavia, la ricerca di una “prova” inoppugnabile della stabilità del Sistema Solare è stata una delle questioni più a lungo dibattute in astronomia. La scoperta di centinaia di pianeti extrasolari ha risvegliato l’interesse sulla questione. Molti pianeti extrasolari percorrono orbite estremamente allungate, a elevata eccentricità, a dimostrazione di possibili episodi di caos planetario avvenuti nel passato. In alcuni sistemi che hanno due o più pianeti, c’è una chiara evidenza che tra questi si sono verificate instabilità orbitali su grande scala. Nel sistema a tre pianeti upsilon Andromedae, per esempio, i due pianeti più esterni hanno orbite eccentriche i cui allineamenti e profili possono essere spiegati come il risultato dell’espulsione di un quarto pianeta nella fase di formazione del sistema planetario. Anche dopo 2,5 miliardi di anni (età stimata del sistema upsilon Andromedae), il segno dell’avvenuta espulsione rimane evidente: ogni 8000 anni il sistema ritorna alla configurazione di eccentricità che esisteva subito dopo il disastro.