
-
Luisa Ostorero: le sfide di una giovane astrofisica58
Luisa Ostorero: le sfide di una giovane astrofisica
Massimiliano Razzano
Affascinata fin da piccola dal cielo stellato, ha intrapreso la carriera di ricercatrice professionista studiando le galassie attive. Un lavoro che le ha permesso di vincere un prestigioso concorso aperto alle migliori ricercatrici del nostro paeseAma il cielo e le lunghe passeggiate in montagna, ma non solo. Luisa Ostorero adora infatti trascorrere il tempo insieme agli altri, ascoltando le loro storie e raccontando la sua, che parla di remote galassie distanti miliardi di anni luce. Studiando i nuclei galattici attivi Luisa ha infatti iniziato la sua carriera come astrofisica all’Università di Torino. Dopo un periodo all’estero è ritornata nel capoluogo piemontese, dove lavora presso il Dipartimento di Fisica. L’anno scorso un suo progetto di ricerca ha vinto il Premio L’Oréal-UNESCO “Le Donne e la Scienza”, mirato a sostenere le giovani e brillanti ricercatrici. L’abbiamo raggiunta per un’intervista, in cui Luisa ci ha parlato del suo lavoro e della sua esperienza di giovane donna nel mondo dell’astrofisica di oggi. Luisa, come sei diventata un’astrofisica? Fin da bambina, essendo nata e cresciuta in un paese di montagna, sono stata a contatto con la natura e ho subìto il fascino del cielo stellato. Guardare la Via Lattea stando sdraiati su un prato è un’esperienza che tutti i bambini dovrebbero fare! Poi, studiando fisica alle scuole superiori, ho iniziato a coltivare l’interesse per il “funzionamento” di questi astri. Ricordo che mi colpì profondamente l’idea che la luce di molti degli astri che ammiriamo Gamnel cielo partì nel lontano passato e che i telescopi sono in pratica una specie di “macchina del tempo” che permette di scrutare la storia dell’Universo avendo i piedi ben piantati nel presente!
-
Luce sulle stelle Oscure54
Luce sulle stelle Oscure
Ker Than
Probabilmente, le prime stelle a formarsi dopo il Big Bang furono oggetti bizzarri, alimentati dall’annichilazione della materia oscuraLa versione scientifica della Genesi afferma che l’Universo nacque circa 13,7 miliardi anni fa, e che i primi abitanti di questo nuovo regno – le stelle – esistevano già circa 100 milioni di anni dopo il Big Bang. Anche secondo gli standard stellari, le prime stelle erano dei veri Titani. Infatti, erano più grandi, più luminose, e “bruciavano” più velocemente idrogeno di qualsiasi stella oggi esistente. Ma se la nuova teoria della formazione stellare è corretta, le prime stelle furono oggetti ancora più strani di quanto in precedenza pensassero gli scienziati, a causa del modo in cui interagivano con la materia oscura, l’invisibile “sostanza” che i fisici pensano costituisca oltre l’80% della materia dell’Universo. Le stelle come il nostro Sole, per contrastare la forza di gravità e impedire così l’implosione, si basano sulla produzione di energia per mezzo della fusione nucleare di elementi leggeri in elementi più pesanti (tipicamente, idrogeno in elio). Ma alcune delle teorie più accreditate nel campo della fisica teorica suggeriscono che la materia oscura sia costituita da particelle che possono agire come le proprie antiparticelle. Ciò permette di concepire l’intrigante possibilità che le prime stelle siano state alimentate dalla auto-annichilazione di concentrazioni di materia oscura contenute nei nuclei stellari.
-
L’anno dei pulsar46
L’anno dei pulsar
Patrizia Caraveo
Nella classifica delle 10 maggiori scoperte scientifiche del 2009, Science ha messo al secondo posto i risultati sui pulsar ottenuti dalla missione Fermi. In questo articolo vediamo di che risultati si tratta e perché sono così importantiPer chi, come me, ha dedicato tutta la carriera allo studio dell’emissione di alta energia dei pulsar, il 2009 è stato un anno straordinario. Oltre a registrare un aumento vertiginoso del numero di pulsar rivelati nel dominio gamma, abbiamo assistito alla nascita di nuove sottofamiglie, prima i pulsar gamma senza emissione radio, poi un numero sempre più grande di pulsar velocissimi, una vera sorpresa. Ma andiamo con ordine, cominciando da un po’ di storia. I primi pulsar gamma sono stati scoperti dalla missione NASA SAS-2 nel 1972, pochi anni dopo la scoperta dei pulsar in radio. Prima è stata la volta del pulsar della Nebulosa Granchio, già visto da esperimenti in pallone, poi è stato rivelato quello nella costellazione delle Vele (o Vela, in latino). Queste sono anche due delle stelle di neutroni più brillanti in radio, e tra le prime a essere scoperte dai radioastronomi tra il 1968 e il 1969. Sono due stelle di neutroni relativamente giovani, ancora situate all’interno dei resti delle supernovae che le hanno prodotte. Il pulsar della Nebulosa Granchio ha circa 1000 anni ha avuto origine da una supernova storica, vista esplodere da astronomi cinesi nel 1054. Il pulsar campeggia all’interno di un plerione, cioè un resto di supernova pieno di radiazione che ai primi osservatori ha ricordato la forma di un granchio. Il pulsar è uno dei più energetici che si conoscano, ruota intorno al suo asse ogni 33 millisecondi (ms) e il suo periodo aumenta impercettibilmente. Per quanto piccolo, questo rallentamento rappresenta una significativa perdita di energia rotazionale che può essere trasformata in radiazione. Il pulsar delle Vele è più maturo, ha 10.000 anni e il resto della sua supernova ha già assunto la caratteristica forma a bolla. La stella di neutroni ruota in 89 ms, e il suo rallentamento è ancora più impercettibile di quello del pulsar del Granchio.
-
A caccia delle onde gravitazionali39
A caccia delle onde gravitazionali
Andrea Simoncelli
La rivelazione delle onde gravitazionali rappresenta una delle sfide più affascinanti della moderna ricerca scientifica; in questo articolo facciamo il punto sullo stato dell’arte dei principali rivelatori del presente e del futuroDopo decenni di intensa ricerca, l’esistenza delle onde gravitazionali (le piccolissime distorsioni dello spaziotempo previste da Albert Einstein) è provata solo indirettamente grazie a un pulsar, noto con la sigla PSR 1913+16, e la loro rivelazione rappresenta una delle sfide più affascinanti della fisica sperimentale (v. Le Stelle, n. 81, pp. 34-41). Tali onde sono generate da una qualunque massa in movimento ma, poiché il segnale emesso è incredibilmente debole, per poter sperare di osservarlo è necessario avere come sorgenti grandi masse, quali per esempio i buchi neri, o eventi catastrofici come l’esplosione di supernovae o, ancora, sistemi binari costituiti da due corpi celesti compatti in orbita uno intorno all’altro. Oltre a consentire un’ulteriore verifica della Teoria della Relatività Generale, la loro rivelazione diretta avrebbe conseguenze molto importanti: sarebbe possibile, per la prima volta, spingere lo sguardo fino agli istanti iniziali di vita dell’Universo. Ad oggi, l’osservazione dell’Universo è limitata alla radiazione elettromagnetica (dalla luce ordinaria, utilizzata per millenni, fino alle più recenti osservazioni, per esempio con i telescopi radio, a raggi X e gamma), ai raggi cosmici e ai neutrini.
-
Che cosa c’è ancora da scoprire ai limiti del Sistema Solare?34
Che cosa c’è ancora da scoprire ai limiti del Sistema Solare?
David Jewitt
Pianeti e altri oggetti di notevoli dimensioni potrebbero essere diffusissimi oltre l’orbita di Nettuno, ma sono molto difficili da scoprire400 anni fa, prima che Galileo puntasse il suo telescopio verso il cielo, il Sistema Solare era indubbiamente un posto molto semplice. A parte la Luna, il Sole e i pianeti fino a Saturno, solo occasionali comete erano visibili a occhio nudo. Le cose sono diventate più interessanti con l’evoluzione dei telescopi e dei loro sensori. Tra le scoperte maggiori figurano sia i pianeti Urano e Nettuno sia nuove classi di oggetti, in particolare la fascia principale di asteroidi compresa tra Marte e Giove e i corpi ghiacciati della Fascia di Kuiper, al di là di Nettuno. È notevole il fatto che questa fase di scoperte sul Sistema Solare continui in maniera accelerata, grazie a miglioramenti tecnologici che ci permettono di penetrare sempre più profondamente negli abissi al di là dei pianeti conosciuti. Costanti progressi osservativi e nuove speculazioni teoriche ci spingono a chiederci cosa mai si possa trovare nelle regioni più esterne del nostro Sistema.