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Mezzo secolo di meteorologia dallo spazio57
Mezzo secolo di meteorologia dallo spazio
Antonio Lo Campo
50 anni fa il lancio del TIROS, il primo satellite meteorologico della storiaIl 1° aprile 1960 le telescriventi delle agenzie di stampa di tutto il mondo trasmettevano ancora una volta le notizie e i dettagli relativi al lancio di un nuovo satellite. Non era più una novità clamorosa, anche se non era ancora un fatto di routine. Ma la notizia aveva comunque del sensazionale e, nonostante la data, non era affatto un “pesce d’aprile”. Era tutto vero: gli Stati Uniti avevano messo in orbita il primo satellite interamente dedicato alla meteorologia. Il suo nome era TIROS 1, ed era stato lanciato dalla già celebre base spaziale di Cape Canaveral, in Florida. TIROS 1 era anche il primo di una serie di dieci satelliti, che gli USA avrebbero messo in orbita fino al 1965. Con quel lancio si inaugurava ufficialmente l’era dei satelliti meteorologici, destinati a tenere sotto controllo l’atmosfera terrestre, al fine di raccogliere elementi utili per il servizio mondiale di previsioni meteo. UNA “CAPPELLIERA” SPAZIALE DI 122 KG Il TIROS 1 era stato lanciato da un razzo vettore americano Thor-Able, un lanciatore a tre stadi che in quel periodo era un punto di forza per il lancio di satelliti. Il Thor-Able era partito dalla rampa della base spaziale della Florida il 1° aprile 1960, alle 12h 40m (ora italiana), e il lancio era avvenuto sotto il controllo dell’US Air Force. TIROS in realtà è l’acronimo di Television and Infra Red Observation Satellite. Il satellite aveva una forma che alcuni giornalisti definirono “a cappelliera”, con un diametro di 106 cm, un’altezza di 48 cm e un peso di 122 kg. Sopra di esso c’era un’antenna ricevente singola e provvista, inferiormente, di altre quattro antenne trasmittenti. Sulle pareti verticali e sul piano superiore TIROS era coperto da 9300 celle solari che servivano a trasformare le radiazioni solari in corrente da utilizzare per l’alimentazione degli strumenti di bordo e per la ricarica delle batterie chimiche.
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Sulle tracce di Caroline Herschel50
Sulle tracce di Caroline Herschel
Luisa Spairani
Una vita dedicata ad assistere prima il fratello William e in seguito il nipote John, Caroline Herschel è nota come la più grande cacciatrice di comete, ma le sue scoperte nel cielo profondo sono altrettanto importanti. Grazie alle sue conoscenze matematiche di trigonometria sferica, costruì i migliori cataloghi di stelle e nebulae del suo tempo“Io non sono nulla, non ho fatto nulla: tutto quello che sono, tutto quello che so lo devo a mio fratello. Io sono solo lo strumento che lui ha plasmato per il suo uso; un cucciolo di cane ben istruito avrebbe fatto altrettanto.” (Caroline L. Herschel) Così, nel suo diario redatto meticolosamente e nelle lettere ai suoi nipoti, Caroline Herschel, sorella di William, lo scopritore del pianeta Urano, documenta la sua personale considerazione del proprio ruolo. Frutto forse di eccessiva modestia, forse della mentalità dell’epoca in cui gli Herschel vissero e lavorarono, forse di entrambe le cose. Sebbene autrice o coautrice di molte scoperte in campo astronomico, Caroline considerò sempre la sua posizione in campo scientifico meno importante del suo ruolo svolto all’interno della famiglia. L’ATTIVITÀ “...l’ho aiutato a lucidare gli specchi e le lenti per il nostro nuovo telescopio. È il più grande mai esistito. Riesci a immaginare l’emozione di puntarlo verso un nuovo angolo del cielo per vedere qualcosa mai visto prima dalla Terra?” Caroline Herschel è apprezzata dagli storici dell’astronomia come assistente di suo fratello William (1738-1822).
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Getti (relativistici e non) in astrofisica42
Getti (relativistici e non) in astrofisica
Luigi Foschini
Facciamo il punto della situazione su uno dei fenomeni astrofisici più studiati negli ultimi anni: i getti che fuoriescono da protostelle, singolarità stellari, GRB e nuclei galattici attiviQuando si parla di singolarità spaziotemporali, il termine metaforico buchi neri comunemente impiegato fa pensare subito a qualcosa che inghiotte tutto e non lascia sfuggire nulla. Invece la natura ci offre spettacoli ben diversi, in cui enormi strutture di plasma (getti) si espandono dalla singolarità verso lo spazio esterno a velocità prossime a quelle della luce (dette relativistiche) e formano strutture con lunghezze che arrivano sino al Megaparsec, vale a dire oltre 3 milioni di anni luce. Questi getti sono abbastanza comuni nelle sorgenti cosmiche: si va dai getti relativistici nelle singolarità stellari o supermassive, nei gamma-ray burst (GRB) e anche nelle stelle di neutroni, sino ai getti supersonici (non relativistici) nelle protostelle. A grandi linee ci si aspetta che un qualunque oggetto che accresca materiale sul suo piano equatoriale sviluppi anche dei getti polari. Tuttavia, come e perché questo avvenga non è ancora del tutto chiaro. Le evidenze osservative sono molteplici e risalgono agli albori della radio astronomia (anni ’50), anche se il primo getto a essere osservato in assoluto fu quello della radio galassia M87, grazie a un telescopio ottico. Infatti, già nel 1918 l’astronomo statunitense Heber Curtis (noto soprattutto per il “Grande Dibattito” con Harlow Shapley sulla natura delle nebulose), osservando dal telescopio ottico dell’Osservatorio Lick, descrisse una curiosa protuberanza luminosa che si estendeva dal nucleo di M87. Negli anni ’50, con l’avvento dei primi interferometri radio, fu possibile delineare le prime strutture allungate di queste intense radio sorgenti. Tuttavia, le prime interpretazioni di questi oggetti così strani erano focalizzate sulla possibilità di osservare galassie in collisione (come avvenne nel caso della radio galassia Cygnus A).
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Kaguya: capolavori ad alta definizione34
Kaguya: capolavori ad alta definizione
Motomaro Shirao
Le spettacolari immagini di una sonda giapponese aprono una nuova finestra sulla “magnifica desolazione” della Luna. Qui le mostriamo rielaborate dall’Autore, che ha preso parte alla selezione degli strumenti di ripresa della missioneSono passati più di 50 anni da quando, per la prima volta, un veicolo spaziale visitò la Luna. Questi decenni hanno visto fl yby, orbiter, lander, recuperi di campioni, impatti sulla superficie e, ovviamente, i sei allunaggi da parte dei 12 astronauti del Programma Apollo. Con questi presupposti si potrebbe pensare che acquisire immagini della Luna da distanza ravvicinata non sia più di grande interesse, ma una recente missione della JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency) ha dimostrato che i panorami lunari sono sempre meravigliosi e serbano tuttora sorprese. La missione in questione è stata chiamata Kaguya, ma è anche nota come SELENE (SELenological ENgineering Explorer). Lanciata il 14 settembre 2007, è stata il secondo orbiter lunare giapponese dopo Hagoromo, che fu lanciato nel 1990. Il soprannome Kaguya, scelto con voto popolare, deriva dal nome di una principessa che, secondo il folklore medievale giapponese, venne dalla Luna e lì ritornò. La “scatola” del modulo orbitale era larga 2,1 m, alta 4,8 e pesava 3 t. Ad accompagnarla due piccoli satelliti, Okina e Ouna, del peso di circa 50 kg; l’uno o l’altro fungeva da radiofaro e da ripetitore quando il veicolo spaziale principale si trovava dietro la Luna.