Le Stelle nr. 76 Agosto 2009

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La missione Planck: uno sguardo indietro all’alba30
La missione Planck: uno sguardo indietro all’alba
R. Mandolesi, C. Burigana, A. Gruppuso
Il satellite dell’ESA Planck, lanciato il 14 maggio 2009, studierà l’origine e l’evoluzione dell’Universo con una precisione mai raggiunta prima e risponderà a molte delle domande, ancora senza risposta, della cosmologia moderna
Cercare nuove informazioni sull’origine e sull’evoluzione dell’Universo: è questo lo scopo di Planck, il satellite dell’ESA lanciato nello spazio il 14 maggio 2009 dalla base di Kourou, nella Guyana francese, una regione nell’America del Sud, a 5° di latitudine nord dall’equatore. La sua destinazione è un’orbita a 1,5 milioni di km dalla Terra, in direzione opposta al Sole, attorno al cosiddetto punto lagrangiano L2. Si tratta di un punto di equilibrio del campo gravitazionale del sistema Terra-Sole, ottimale per missioni di cosmologia. Da questo punto dello spazio, infatti, si ha un ampio campo di vista che minimizza l’interferenza da parte di emissioni solari, terrestri o lunari e garantisce una buona stabilità termica, essenziale per non disturbare le misurazioni. Il tempo necessario per raggiungere L2 è di circa 8 settimane, e al momento in cui scriviamo la manovra di inserimento in orbita è ancora in corso. Il satellite riceve i comandi e trasmette i dati principalmente tramite l’antenna da 35 m della stazione di New Norcia, in Australia, e viene controllato direttamente dal Mission Operation Center (MOC) di Darmstadt, in Germania. La Sala di Controllo del MOC gestisce il satellite durante le 5 ore al giorno di collegamento. Per il resto del tempo i computer di bordo sono in grado di gestire autonomamente il controllo del satellite. Tags:COSMOLOGIA -
L’Universo oscuro: la rivoluzione della fisica del35
L’Universo oscuro: la rivoluzione della fisica del
Antonaldo Diaferio
Le osservazioni astronomiche della fine del XX secolo, che sembrano implicare l’esistenza di materia ed energia oscure, hanno messo in crisi la fisica moderna. Le ipotesi alternative alla loro presenza però non mancano
Nella comunità scientifi ca, a cavallo tra XIX e XX secolo, era diffusa la convinzione che la comprensione del mondo fi sico fosse sostanzialmente completa. Nel 1903, nel suo Le onde luminose e i loro usi, Albert Abraham Michelson scriveva: “Le leggi e i fatti fondamentali delle scienze fi siche sono stati tutti scoperti e sono ora così fermamente stabiliti che la possibilità che vengano soppiantati in conseguenza di nuove scoperte è estremamente remota”. Il 27 aprile 1900, in realtà, William Thomson, primo barone Kelvin, tenne al Royal Institute di Londra una lezione dal titolo “Nubi del XIX secolo sulla teoria dinamica del calore e della luce”. Lord Kelvin sottolineava l’esistenza di due problemi ancora irrisolti che oscuravano la bellezza e la chiarezza delle conoscenze fi siche del tempo. Le "nubi" di Lord Kelvin erano due classi di fenomeni la cui spiegazione era insoddisfacente: la propagazione della luce e alcune proprietà termodinamiche dei gas. Per tali problemi Kelvin era tuttavia fi ducioso che si sarebbero trovate presto soluzioni nell’ambito della fisica nota. Tags:COSMOLOGIA -
Alla ricerca delle esolune42
Alla ricerca delle esolune
David Kipping
Gli astronomi potrebbero presto riuscire a scoprire i satelliti dei pianeti extrasolari, ma gli astrofili potrebbero anche battere sul tempo i professionisti
Esiste vita altrove nel nostro vasto cosmo o l’umanità è semplicemente una coincidenza di proporzioni astronomiche? Questo dubbio ha affascinato le menti di tanti grandi pensatori nel corso della storia. Quale onore entusiasmante è vivere in un’epoca in cui tale domanda potrebbe fi nalmente trovare risposta, in quanto oggi gli astronomi stanno cercando mondi abitabili al di fuori del nostro Sistema Solare. Avendo conoscenza diretta di un solo esempio di vita – quella sulla Terra – gli scienziati hanno tipicamente concepito quale luogo più probabile per la vita biologica un pianeta simile al nostro. Non stiamo dicendo che la vita non possa esistere in altri ambienti, bensì solo che un punto ideale di partenza nella nostra ricerca sarebbe un pianeta analogo alla Terra. Ma se si trattasse di un satellite? Gli scrittori di fantascienza hanno da tempo considerato l’idea di satelliti abitabili: forse il caso più noto resta quello della luna boscosa Endor, ovvero la Terra di Mezzo, sede di un importante confl itto di Guerre Stellari in Il ritorno dello Jedi. Gli astronomi si aspettano che i satelliti siano corpi solidi piuttosto che giganti gassosi, in quanto ciò risulta favorevole allo sviluppo di vita complessa. Viste le sempre più numerose scoperte di esopianeti, ci si sta ora imbarcando nell’audace sfi da di cercare le loro lune. Tags: -
Estate 1979: la fine dello Skylab e le Voyager su46
Estate 1979: la fine dello Skylab e le Voyager su
Antonio Lo Campo
A trent’anni di distanza ricordiamo un’estate davvero memorabile, nel bene e nel male, per le missioni spaziali americane
L’estate, e in particolare il mese di luglio, per tradizione e per via di una serie di coincidenze, è un periodo particolarmente importante per l’astronautica. E se l’estate “spaziale” o “astronautica” per eccellenza resta quella del 1969 con il primo sbarco lunare, vero è che le prime sonde a scendere su Marte portarono a termine con successo le loro imprese nel luglio 1976 (la prima delle due Viking), e poi ancora nel luglio del 1997 con la seconda missione in assoluto (quella di Mars Pathfi nder e del rover Sojourner). E come non ricordare lo storico, primo aggancio in orbita tra una navicella russa, una Soyuz, e una americana, un’Apollo, nel luglio 1975? E anche se questo è l’anno in cui si celebra il quarantennale dell’Apollo (v. Le Stelle, n.75, pp. 42-48), non va nemmeno dimenticata l’estate di trent’anni fa. Nel luglio 1979, infatti, ben due eventi, del tutto diversi tra loro ma pur sempre legati ai viaggi spaziali, occuparono molto spazio sui giornali e nei programmi radiofonici e televisivi di tutto il mondo. Uno negativo (l’anticipata caduta in atmosfera del grande laboratorio orbitante Skylab) e l’altro di grande successo (la prima osservazione ravvicinata di Giove da parte del Voyager 2). Tags:ASTRONAUTICA -
I geyser di Encelado54
I geyser di Encelado
Cesare Guaita
Dopo Titano, Encelado è il satellite di Saturno più straordinario. Pur essendo un corpo ghiacciato di soli 500 km di diametro, qualche misterioso fenomeno ne scalda il polo Sud provocando l’emissione di impressionanti getti di vapor d’acqua e idrocarburi. Ecco una sintesi delle grandi scoperte della sonda Cassini, in attesa dei due importanti flyby del prossimo autunno
Il 15 settembre 2006 la sonda Cassini, a 2,2 milioni di km da Saturno e con il Sole occultato dal disco del pianeta, realizzò le immagini più complete e fantastiche del sistema di anelli che circondano il pianeta. La visione in controluce evidenziava anche una serie di anelli deboli e diffusi situati al di la degli anelli principali e sistematicamente collegati a piccoli satelliti prima sconosciuti (oggi i satelliti di cui è nota l’orbita sono ben 61). L’ultimo e più esterno di questi anelli diffusi è assolutamente anomalo: denominato anello E, è quello più esteso sia in ampiezza (è largo 300.000 km) che, soprattutto, in spessore (20.000 km). All’interno di questo anello, la Cassini ha più volte colto l’impronta del satellite Encelado – un modesto corpo ghiacciato di 505 km di diametro orbitante in maniera sincrona a 273.378 km da Saturno – mentre, con il suo movimento, perturbava pesantemente le particelle di ghiaccio che costituiscono l’anello stesso. La parentela stretta tra Encelado e l’anello E apparve chiara. Ma il punto era un altro. Nei primi mesi del 2004, quando la Cassini si stava avvicinando a Saturno, lo strumento UVIS (Ultraviolet Imaging Spectrometer) scoprì che l’anello E emetteva di continuo ossigeno (banda a 130,4 nm) per l’impatto delle particelle energetiche della magnetosfera di Saturno sul pulviscolo di ghiaccio che lo costituisce. Conti alla mano, l’anello E si dovrebbe estinguere in circa 100 milioni di anni; da qui la necessità di ricercare una fonte esterna che provveda a sostituire il ghiaccio che va perduto. Tags:SISTEMA SOLARE -
La Festa del lavoro astronomica62
La Festa del lavoro astronomica
E.C. Krupp
Cadeva in settembre, e le stelle dell’odierno Ariete indicavano ai mesopotamici quando era il momento di dedicarsi alla raccolta dei datteri
Nel 1894 il Congresso degli Stati Uniti dichiarò il primo lunedì di settembre Festa nazionale del Lavoro, per riconoscere il contributo dei lavoratori al paese. La Festa del Lavoro segnava approssimativamente la fi ne delle vacanze estive e il ritorno a scuola. La ricorrenza ebbe in realtà origine martedì 5 settembre 1882, quando Matthew Maguire, segretario della Central Labor Union di New York City, organizzò una sfi lata per celebrare il lavoro. Dal punto di vista delle stelle, benché non vi sia nulla di astronomico riguardo a questa ricorrenza americana, il periodo è quello in cui la costellazione dell’Ariete inizia a portare gli zoccoli al di sopra dell’orizzonte a est–nordest; i suoi astri si uniranno poi alla parata celeste nelle notti dell’autunno. Il suo moto notturno nel cielo non è realmente un moto di fatica: l’ariete è un montone, non un cavallo da tiro, e gli antichi greci, che misero questo ovino al lavoro nello Zodiaco, non lo avevano mai immaginato come un salariato. Tuttavia, curiosamente e senza alcun legame con quanto verrà stabilito millenni dopo dal Congresso USA, gli abitanti della Mesopotamia videro nelle stelle dell’Ariete un uomo al lavoro, e i Sumeri, che per primi gettarono le fondamenta della civiltà nell’antico Iraq 5000 anni fa, lo chiamarono lu-hun-ga, vale a dire il “lavoratore a giornata” o il “bracciante”. Tags: