Le Stelle nr. 61 Aprile 2008

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L’origine degli elementi della vita28
L’origine degli elementi della vita
Timothy C. Beers
L’ Universo primordiale era composto solo da elementi leggeri ed era privo degli ingredienti basilari della vita come la conosciamo. Quindi da dove sono venuti gli atomi che compongono la maggior parte delle cose che ci circondano?
Fate un respiro profondo e trattenetelo a sufficienza per leggere la frase successiva. Avete appena fornito al vostro corpo una grande dose di azoto (78% in massa) e ossigeno (21%), una piccola quantità del gas inerte argo (1%) e una traccia di anidride carbonica (0,03%). Adesso espirate lentamente. In questo modo avete fornito all’atmosfera terrestre essenzialmente tutto l’azoto e l’argo che avevate prelevato, una parte dell’ossigeno (16%, per la maggior parte legato con l’idrogeno in forma di vapor d’acqua) e molta più anidride carbonica (4%). Questa semplice esperienza, ripetuta inconsciamente decine di migliaia di volte al giorno, lega i tessuti del nostro corpo con tre dei principali ingredienti della vita come noi la conosciamo: il carbonio (simbolo chimico C), l’azoto (N) e l’ossigeno (O). Relativamente agli elementi chimici che la compongono, la massa del nostro corpo è formata per il 61% da ossigeno, per il 23% di carbonio, per il 10% di idrogeno e per il 3% di azoto. Il restante 3% è costituito da elementi molto più pesanti come il ferro, il calcio, il magnesio, lo zolfo, il fosforo (Fe, Ca, Mg, S, P) indispensabili per l’attività enzimatica e metabolica. Pochi istanti dopo il Big Bang, c’erano sostanzialmente solo due tipi di nuclei atomici nell’Universo, entrambi sottoforma di due tipi di isotopi (gli isotopi sono atomi che hanno un ugual numero di protoni ma differente numero di neutroni). Tags: -
Da dove veniamo?34
Da dove veniamo?
C. Renée James
Possiamo ringraziare l’interno delle stelle per il calcio che costituisce le nostre ossa e i nostri denti, ma per lo iodio della nostra tiroide?
Alla fine accadde anche nella nostra casa: ecco arrivare la tanto paventata domanda.“Da dove vengono i bambini?” Passata la balbuzie improvvisa e l’immancabile rossore, decidemmo di dire a nostro figlio la verità sulla sua sorellina appena nata: è figlia dell’Universo. In effetti la maggior parte dei suoi atomi – così come quelli di tutti noi – hanno vagato per l’Universo fin da quando ebbe origine, col Big Bang, ben 13,7 miliardi di anni fa. L’elemento che più abbonda nell’Universo, l’idrogeno, è anche quello più abbondante nel nostro corpo. Costituendo circa il 90% degli atomi in natura, e il 62% degli atomi dentro di noi, l’idrogeno – formato da un solo protone e un solo elettrone – era l’elemento più semplice da assemblare per il nascente Universo. Il Big Bang creò anche abbondanza di elio, con due protoni, due elettroni e due neutroni. Tuttavia, ad eccezione dell’elio che si potrebbe eventualmente inalare per parlare con voce buffa, questo elemento non è assolutamente presente in noi. Essendo un gas nobile (e inerte), non lega con altri elementi e pertanto non può formare molecole essenziali per la vita. Elementi come l’idrogeno (che invece legano bene e riescono quindi a formare molecole complesse) sono invece l’ossigeno, il carbonio e l’azoto, che rispettivamente costituiscono circa il 24%, il 12% e l’1% degli atomi del nostro corpo. Tali elementi non furono creati dal Big Bang, bensì dalle generazioni di stelle che precedettero la formazione del Sole. La loro storia è raccontata in questo stesso numero in “L’origine degli elementi della vita” a pag. 28. Tags: -
Le polveri diffuse della Galassia38
Le polveri diffuse della Galassia
Steve Mandel
Un astro-imager californiano ha realizzato un’importante scoperta: un immenso, misterioso complesso di polveri che pervade la Via Lattea ad alte latitudini galattiche.
Ormai da molti anni sono un appassionato astro-imager CCD a grande campo. Nel dicembre 2004, mentre stavo riprendendo la regione che circonda le galassie M81 e M82 nell’Orsa Maggiore con il telescopio a controllo remoto del mio Osservatorio del New Mexico, ho notato che una strana “nebbiolina” debole e irregolare pervadeva l’immagine. Ho provato allora ad elaborare la ripresa al computer e ciò che ho visto mi ha fatto sobbalzare sulla sedia: vari sbuffi nebulosi si estendevano su tutto il campo, che misurava 3°_4°! Non avevo mai sentito parlare di queste nebulosità situate così a nord del piano galattico, e comunque mai di nebulose diffuse nelle vicinanze di M81 e M82. All’inizio, pensai che si trattasse di un immenso e ancora sconosciuto resto di supernova o di una vasta nube di idrogeno. La ricerca di una conferma sui normali atlanti celesti non diede alcun esito. Decisi così di riprendere di nuovo la stessa regione, ma questa volta spostando leggermente il centro del campo, giusto per escludere la possibilità di un’immagine fantasma, o di un riflesso delle ottiche, oppure che la “nebbia” fosse un artefatto del CCD. La nebulosità venne invece registrata anche in questa circostanza, e quindi doveva essere realmente presente in cielo. Tags: -
RR Lyrae: candele incerte42
RR Lyrae: candele incerte
M. Castellani e M. Dall’Ora
Queste variabili pulsanti si prestano ad essere usate come validi indicatori di distanza. Tuttavia, la loro luminosità assoluta non è nota con un grado di precisione soddisfacente.
Le RR Lyrae sono stelle di piccola massa e in fase evolutiva avanzata, soggette a variazioni periodiche e regolari di raggio, temperatura e luminosità. I periodi delle pulsazioni vanno all’incirca da 5h a 20h, con variazioni di luminosità fra pochi decimi e oltre 1 magnitudine. Sono oggetti interessanti per molti motivi, ma probabilmente il più importante è che possono essere usati come indicatori di distanza per tutti gli ambienti che ospitino una popolazione stellare antica, come sono, ad esempio, gli ammassi globulari. Nonostante che le RR Lyrae siano studiate ormai da più di un secolo, diversi sono ancora i problemi non risolti, primo fra tutti la precisa determinazione della loro luminosità, senza la quale la loro utilità come indicatori di distanza risulta assai ridotta. UN PO’ DI STORIA La storia delle RR Lyrae iniziò nel 1893, quando alla stazione peruviana dell’Osservatorio dell’Università di Harvard venne intrapresa una campagna osservativa fotografica sugli ammassi globulari dell’emisfero sud ad opera di Solon I. Bailey. Nel giro di pochi anni le cosiddette variabili di ammasso arrivarono ad alcune centinaia, un numero quasi uguale a quello delle variabili note in tutto il resto del cielo. Bailey notò che alcuni ammassi globulari, come Omega Centauri, erano ricchi di variabili, mentre altri ne mostravano poche o non ne mostravano del tutto. Si dedicò allora alla determinazione dei periodi di variazione di tali stelle e allo studio delle loro curve di luce. In un importante articolo del 1902, egli classificò le variabili di Omega Centauri in base alla lunghezza del periodo di pulsazione e alla forma della curva di luce: le variabili di tipo a e b (poi raccolte in un’unica classe, la ab) avevano periodi più lunghi e curve di luce più asimmetriche, quasi a denti di sega, mentre le variabili di tipo c erano caratterizzate da periodi più brevi e da curve di luce più regolari, quasi sinusoidali. Senza entrare nei dettagli, limitiamoci a ricordare che fu Martin Schwarzschild, nel 1940, a comprendere che le due classi, ab e c, si differenziano per il modo di pulsazione. Tags: -
Prevedere le tempeste solari50
Prevedere le tempeste solari
C. Renée James
Quanti e quali danni potrebbe arrecare alla Terra il prossimo ciclo di attività solare?
Il 20 gennaio 2005 la Terra fu investita da una tempesta di protoni solari d’elevata energia che determinò la più alta intensità di radiazione al suolo degli ultimi cinquant’anni. Otto mesi dopo, la nostra stella andò soggetta a parecchi intensi brillamenti, tra i quali uno che si rivelò essere il quarto in ordine di importanza degli ultimi vent’anni. Se la scarica di particelle ad esso associata fosse stata diretta verso la Terra, avremmo probabilmente subito interruzioni di energia e disturbi nelle comunicazioni, e un astronauta che si fosse trovato all’esterno della Stazione Spaziale per un’attività extraveicolare avrebbe assorbito una dose di radiazione capace di produrre seri danni fisici. E tutto questo durante una fase ritenuta di “Sole quieto”! Da oltre due secoli e mezzo gli astronomi registrano con cura il numero delle macchie che compaiono sul disco del Sole, il che ci permette di quantificare il livello dell’attività magnetica della nostra stella nel corso del suo ciclo undecennale. Le macchie solari sono l’indizio più evidente dello stato fisico del Sole. Più macchie segnalano un ciclo magnetico più attivo. In realtà, il Sole non è mai del tutto quiescente, anche se nei periodi di minimo il disco può risultare del tutto privo di macchie anche per molti giorni consecutivi (una situazione che si è verificata all’inizio di quest’anno). Proprio ora stiamo assistendo agli ultimi sussulti del XXIII ciclo solare registrato, un ciclo che anche al momento del massimo si è mostrato meno attivo dei due precedenti. Tags: -
Riprendere le nubi di Venere60
Riprendere le nubi di Venere
Sean Walker
Venere non va più considerato come un pianeta senza volto, senza dettagli. Per l’imager che ha pazienza l’aspetto delle nubi del pianeta cambia in continuazione. Ecco come riprenderle.
La fotografia planetaria sta attraversando un periodo di forte rinnovamento e rinascita. Con il costante aumento della qualità e della sensibilità di webcam e videocamere, riprendere immagini in alta risoluzione di Marte, Giove, Saturno e Urano (quest’ultimo con qualche difficoltà) non è più l’impresa disperata di un tempo. Tutto quello che serve, oltre alla camera di ripresa (e un computer per gestirla) è un telescopio ben collimato e una montatura equatoriale per l’inseguimento. Ora la tecnologia digitale offre agli amatori l’opportunità di rivolgere la propria attenzione a un obiettivo più vicino e a lungo trascurato: il pianeta “fratello” del nostro, Venere. A uno sguardo veloce all’oculare, Venere si presenta come una palla informe che mostra poco più della sua fase (la frazione di disco illuminata dal Sole e visibile da Terra). Come scoprì Galileo con il suo cannocchiale, la fase di Venere è in continuo cambiamento a mano a mano che il pianeta si sposta sulla propria orbita intorno al Sole. Responsabili di questa scarsità di dettagli sul disco di Venere sono le nubi di acido solforico che avvolgono completamente il pianeta impedendone la visione della superficie. Le nubi riflettono circa il 60% della luce solare incidente e questo spiega perché Venere appare così luminoso nel nostro cielo crepuscolare. Tuttavia, a un esame più attento, la sommità delle nubi del pianeta rivela la presenza di dettagli a basso contrasto, specialmente alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto vicino (UV). Questi dettagli nell’UV sono stati fotografati per la prima volta ottant’anni fa da Frank Ross, pioniere della fotografia planetaria attraverso filtri monocromatici, dall’Osservatorio di Monte Wilson. Probabilmente, queste strutture sono dovute alla presenza di ossidi di zolfo e di altri costituenti presenti nell’atmosfera superiore del pianeta. A differenza dei nostri occhi, il sensore CCD di una webcam o di una camera digitale è sensibile all’UV, e questo rende possibile la ripresa dei dettagli delle nubi di Venere anche al non professionista. Tags: -
Il Sestante66
Il Sestante
Luigi Fontana
Costellazione sconosciuta anche a molti astrofili di lunga esperienza, si trova in realtà a cavallo dell’equatore celeste, ed è quindi visibile da ogni terra abitata. Raggruppa poche deboli stelline, immediatamente a sud del Leone, ma almeno le tre principali sono facilmente individuabili. L’ alfa, di magnitudine 4,5 si trova 12° a sud di Regolo. La beta, di magnitudine 5, è situata 5,5° a est della alfa, mentre la gamma, che è una debole stellina di magnitudine 5,6, è 6° a est di Alphard, la brillante alfa dell’Idra. La costellazione fu inventata di sana pianta da Hevelius nel tardo XVII secolo per celebrare lo strumento con cui dal 1658 al 1679 compì le sue osservazioni più importanti. Con i suoi 314 gradi quadrati è una costellazione piuttosto piccola, appena 47a in questa particolare classifica, dove comunque precede costellazioni ben più note come la Volpetta o l’Orsa Minore. Essendo una costellazione moderna, non vi è alcun mito associato ad essa, e le deboli stelle che la contraddistinguono erano in precedenza assegnate al Leone. Posta ad elevata latitudine galattica, la costellazione del Sestante è ricca di galassie. Sebbene solo una sia un oggetto facile (NGC 3115), il Sestante vanta anche tre galassie molto speciali: due deboli e remoti componenti del gruppo locale (Sextans A e Sextans B) e Sextans I, il più debole satellite della nostra Via Lattea, riconosciuto come tale solo una ventina di anni or sono. Quest’ultimo oggetto non è alla portata di strumenti amatoriali, men tre i primi due possono essere fotografati senza eccessiva difficoltà e anche osservati, in condizioni opportune. Ma parecchie altre galassie arricchiscono questa modesta plaga celeste. Tags: