Le Stelle nr. 56 Novembre 2007

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Da qui all’eternità32
Da qui all’eternità
Gregory P. Laughlin
Quale sarà il destino del Sole e della Terra? La vita sul nostro pianeta potrebbe prosperare ancora per centinaia di milioni di anni. Ma prima o poi verrà il momento in cui gli oceani inizieranno a ribollire, e allora…
Mi ha sempre affascinato il viaggio nel futuro della Terra che H.G. Wells racconta nel suo libro “La Macchina del Tempo”, scritto nel 1895. Wells immaginò quale sarebbe stato il paesaggio della campagna inglese nei decenni immediatamente successivi e poi si spinse molto più avanti: “Vedevo gli alberi crescere e cambiare come sbuffi di vapore… Vedevo immensi palazzi crescere e poi scomparire come sogni. L’intera superficie della Terra cambiava, si scioglieva e scorreva sotto i miei occhi”. La nostra visione di ciò che sarà il lontano futuro della Terra è notevolmente evoluta da quando Wells scrisse quel brano. E, sebbene le macchine del tempo appartengano solo alla fantascienza, la nostra conoscenza dell’evoluzione solare è così solida che possiamo delineare il futuro della Terra fra miliardi di anni in modo assai dettagliato e scientificamente fondato. Se potessimo vedere scorrere velocemente il film dei prossimi 200 milioni di anni, vedremmo i conti nenti unirsi per formare una nuova Pangea, un supercontinente, che in seguito si fratturerebbe creando nuove placche continentali. Il calore proveniente dall’interno della Terra è originato principalmente dal decadimento radioattivo dell’uranio-238, che ha un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni: oggi, infatti, la Terra produce calore a un tasso che è circa la metà di quello originale. Tags:SISTEMA SOLARE -
Materia oscura vs. MOND38
Materia oscura vs. MOND
Govert Schilling
È battaglia a tutto campo tra chi, la maggioranza, sostiene che esiste la materia oscura e una minoranza di astronomi che invece sostiene la necessità di modificare la legge di gravitazione universale. Chi ha ragione? Come e quando gli scienziati risolveranno la questione?
La materia oscura rappresenta uno dei più grandi misteri dell’astronomia. Senza la forza gravitazionale che essa mette in campo, le galassie in rotazione si smembrerebbero, gli ammassi di galassie si scioglierebbero e la struttura su grande scala dell’Universo sarebbe drasticamente diversa da quella che osserviamo. Ma nessuno ancora sa cosa sia la materia oscura e gli esperimenti di laboratorio non sono riusciti finora a rivelarla. Esiste per davvero, o potrebbe esserci qualcosa di sbagliato nelle nostre idee sulla forza di gravità? Il fisico Mordehai Milgrom (Weizmann Institute, Rehovot, Israele) ritiene che la seconda ipotesi sia quella giusta. E non è il solo. Venticinque anni fa, Milgrom elaborò la “Dinamica Newtoniana Modificata” (Modified Newtonian Dynamics – MOND), basata sull’idea radicalmente rivoluzionaria che il comportamento della gravità, su grandi distanze, sia diverso da quello che conosciamo alla scala spaziale del Sistema Solare. Nonostante i molti tentativi di falsificare questa ipotesi, bisogna dire che essa è ancora decisamente viva e vegeta. “Stiamo accumulando diverse prove osservative”, afferma un collaboratore di Milgrom, Robert Sanders (Università di Groningen, Olanda), “e la nostra teoria sta acquistando una certa solidità.” La grande maggioranza degli astronomi e dei fisici è tuttavia contraria a questa novità e invece accetta il prevalente “modello di concordanza” che parla di un Universo dominato dalla materia oscura e da un’ancora più misteriosa energia oscura. Uno dei padri fondatori del modello, il cosmologo Joel Primack (Università della California, Santa Cruz), ritiene che l’idea sottostante la MOND sia “donchisciottesca”: “Milgrom e i suoi collaboratori hanno intrapreso una ricerca che, verosimilmente, non approderà a nulla”. Tags:ASTROFISICA -
Comete nell’era digitale46
Comete nell’era digitale
Sean Walker
La McNaught è stata la prima Grande Cometa a fare la sua comparsa in cielo da quando le fotocamere digitali hanno conquistato i favori degli astrofotografi.
Da metà gennaio a metà febbraio di quest’anno, mentre la cometa McNaught (C/2006 P1) ammaliava gli astrofili da nord a sud dell’equatore, la mia casella di posta elettronica si è riempita di immagini prese da osservatori di ogni parte del mondo. Molte erano davvero di notevole impatto! A parte il gran numero di immagini di elevata qualità – fatto già di per sé rilevante –, ciò che mi ha colpito è stato constatare come la quasi totalità fosse stata realizzata con una camera digitale. Inoltre, era sorprendente quanto fossero “fresche”: molte comparivano sul mio monitor meno di un’ora dopo essere state scattate dall’altra parte del mondo. Eccezionale! Ma cos’altro è cambiato nella fotografia cometaria, ora che siamo entrati nell’era digitale? L’ultima Grande Cometa che tutti ricordano fu la Hale-Bopp (C/1995 O1), che raggiunse il massimo di luminosità nell’aprile del 1997. In quegli anni, erano già abbastanza diffuse tra gli astrofotografi le camere appositamente realizzate per riprese astronomiche, con dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD) ultrasensibili. Ma erano molto costose, e avevano sensori di piccole dimensioni: a differenza delle fotocamere tradizionali a pellicola, non potevano abbracciare un largo campo, come sarebbe stato indispensabile per catturare le spettacolari code di gas e polvere della Hale-Bopp. Tags: -
Come nasce una collezione50
Come nasce una collezione
Matteo Chinellato
All’inizio c’è solo un po’ di curiosità, poi la passione cresce e bisogna controllarsi per non fare spese pazze, specie adesso che Internet apre al collezionista un mercato immenso.
“Quanto costa?”, chiesi io. “Sessanta mila lire” rispose il venditore. Era il 24 settembre 1997 e quella era la prima meteorite che vedevo, una Canyon Diablo proveniente dal Meteor Crater che si trova in Arizona, USA. Quel giorno nacque la mia passione per le meteoriti, una passione cresciuta esponenzialmente nel tempo. Quella prima meteorite si trova ancora nella mia collezione e mai mi separerò da essa. Ora, dopo nove anni, mi ritrovo con la collezione privata più grande in Italia, composta da 672 pezzi, mentre altri sono ancora in attesa di essere classificati. Agli inizi, il mercato italiano di meteoriti era assolutamente povero: così iniziai a cercare altrove e l’avvento di Internet mi aiutò molto, offrendomi la possibilità di contattare altri appassionati in tutto il mondo. Ricordo ancora quando ricevetti il mio primo pacchetto dagli USA contenente una fetta della meteorite di Brahin, una pallasite recuperata in Russia nel 1810 per una massa totale di oltre 930 kg. La Brahin è la pallasite tra le più comuni disponibili in commercio ma purtroppo tende ad arrugginirsi e a sgretolarsi dopo un certo tempo. Per questo viene venduta a basso prezzo. Dopo la Brahin, arrivò la Campo del Cielo, una meteorite ferrosa recuperata nel 1576 in Argentina, anche quest’ultima con il brutto difetto di arrugginire. Tags: -
La ISS in transito sul Sole56
La ISS in transito sul Sole
Marco Bastoni
Non è difficile fotografarla, grazie al sito CalSKY che calcola le condizioni di visibilità da una qualunque postazione: però bisogna scattare foto a raffica, perché l’evento dura solo una frazione di secondo.
Tutto è cominciato una fresca sera di inizio agosto mentre tenevo d’occhio l’orologio per non farmi scappare la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che sarebbe transitata in cielo da lì a pochi minuti. Scrutavo l’orizzonte occidentale da dove sarebbe dovuta sbucare: all’ora stabilita, dagli strati inquinati di luce dell’orizzonte è apparso un bagliore: eccola! La Stazione Spaziale diventava sempre più luminosa e la sua velocità in cielo aumentava a vista d’occhio. Quando passò sopra la mia testa, lambendo la coda dell’Orsa Maggiore, si rivelò in tutta la sua incredibile luminosità: la osservavo a bocca aperta e, mentre gli occhi ancora seguivano l’oggetto svanire dall’altra parte del cielo e perdersi nella densa cortina di fumi che si addensavano sull’orizzonte opposto, già pensavo a qualcosa che sarebbe stato ancora più spettacolare ed eccitante. Tornai dentro per iniziare una ricerca in Internet: volevo trovare un sito che mostrasse gli istanti di transito della ISS sul disco del Sole e l’ho subito trovato. Su CalSKY (www.calsky.com) è infatti possibile consultare le effemeridi di transito della ISS (e di altri satelliti) da una data località; avvalendosi anche della potenza e flessibilità di Google Maps, CalSKY può tracciare le fasce di transito della ISS su una mappa interattiva, aiutando a individuare sul territorio i punti in cui si può assistere al fenomeno. Tags:ASTROFILI -
Elaborare immagini planetarie58
Elaborare immagini planetarie
Donald C. Parker
Un maestro della fotografia planetaria svela i suoi segreti per riuscire a catturare i dettagli più fini sui pianeti del Sistema Solare.
La fotografia planetaria amatoriale ha conosciuto negli ultimi cinque anni enormi progressi. In larga misura il merito è delle semplici e poco costose webcam, che hanno permesso anche agli astrofili dotati di modesti telescopi di realizzare immagini dei pianeti che sono paragonabili a quelle che un tempo si ottenevano solo con grossi strumenti professionali. Il segreto del successo delle webcam è che esse forniscono immagini con tempi di posa molto brevi, diciamo circa un decimo del tempo richiesto alle camere CCD tradizionali raffreddate. Questo significa che le webcam possono in qualche misura eludere il seeing, nel senso che riescono a catturare immagini nitide durante i fugaci momenti di calma atmosferica. Sfortunatamente, bisogna fare i conti anche con l’altra faccia della medaglia. I frame (fotogrammi) delle webcam sono parecchio più “rumorosi” di quelli che si ottengono con le camere CCD astronomiche raffreddate. Vi si può ovviare considerando che l’intensità del segnale aumenta in proporzione al tempo di esposizione, mentre l’intensità del rumore cresce solo come la radice quadrata del tempo; sommando allora un gran numero di singoli fotogrammi è possibile produrre un’immagine finale con un rapporto segnale/rumore molto più alto di quello di una singola ripresa. Tags: -
Le molte galassie in Andromeda64
Le molte galassie in Andromeda
Luigi Fontana
Completiamo questo mese la descrizione della costellazione di Andromeda. Anche se dominata da M31, la costellazione ha molto altro da offrire. Purtroppo, come già detto, sono pochi gli oggetti facili. Tra questi senz’altro le due galassie compagne di M31, di cui abbiamo accennato il mese scorso, e di cui ora diamo la descrizione “canonica”. NGC 205 (M110) (AR 0h 40,4m, dec. +41° 41’; galassia E5pec; magnitudine 8,1v; dimensioni 19’ 12’; luminosità superficiale SB = 13,9). È una galassia “sfortunata” per due motivi. In primo luogo perché la sua vicinanza a M31 non la fa apprezzare come oggetto a sé – eppure lo meriterebbe. Il secondo è che, come molte galassie ellittiche, è praticamente priva di dettagli anche in strumenti amatoriali grossi e perfino in riprese fotografiche o CCD. In un certo senso, è l’archetipo delle galassie di ellitticità media (la sua classe, E5, la pone proprio a mezza strada tra le E0, tonde, e le E9, estremamente allungate). Mostra un nucleo nettamente più brillante della parte esterna, privo però di un centro di apparenza stellare. Il nucleo, secondo taluni osservatori, appare curiosamente non ben in centro rispetto al resto della galassia. Come dimensioni e luminosità, M110 è appena inferiore a M81, che è però immensamente ricca di dettagli, essendo una spirale posta di tre quarti. Si noti che la luminosità superficiale di M110 è appena inferiore a quella di M31 (13,9 contro 13,6) e questo fatto è abbastanza evidente al telescopio. Tags: -
Scampato pericolo70
Scampato pericolo
Luciano Lai
Occorre riconoscere che negli ultimi anni i governi dei principali Stati hanno percepito il pericolo di eventuali disastri causati dall’impatto di comete o di asteroidi con orbite a rischio per la Terra e che molti Osservatori professionali si sono interamente dedicati allo studio di questi corpi con lo scopo di scoprirne di nuovi e di affinare le orbite di quelli noti, in modo da poter prevedere con un certo anticipo l’eventuale pericolo di collisione. I risultati non sono mancati e oggi si conoscono con buona approssimazione le orbite di 886 PHA (Potentially Hazardous Asteroids, “asteroidi potenzialmente pericolosi”): si tenga presente che dieci anni fa se ne contavano meno di 50. Secondo il direttore del Minor Planet Center, B. Marsden, ormai sono stati scoperti almeno l’80% degli asteroidi che potrebbero dar luogo a impatti devastanti. Ciò potrebbe essere confortante. Ma vediamo cosa è successo il 4 settembre scorso. Durante una normale survey a Monte Lemmon, in Arizona, il CCD applicato al telescopio di 1,5 m rivelava un oggetto in rapidissimo movimento e immediatamente veniva lanciato l’allarme sulla Neo confirmation page nel sito del Minor Planet Center. Tags: