Le Stelle nr. 53 Luglio 2007

-
Amedeo Balbi34
Amedeo Balbi
La sinfonia dell’Universo
Con due premi Nobel assegnati negli ultimi trent’anni, lo studio della radiazione cosmica di fondo a microonde si è dimostrato uno degli strumenti fondamentali per la comprensione del Cosmo e dei parametri cosmologici fondamentali.
Viviamo in un Universo che evolve. Un Universo che è passato, attraverso un processo durato molti miliardi di anni, da un’estrema semplicità alla straordinaria complessità che oggi osserviamo ovunque intorno a noi. Secondo il modello cosmologico del Big Bang, l’Universo ha cominciato a espandersi da uno stato di densità infinita. Le temperature in gioco erano altissime, e la materia era scomposta nei suoi costituenti elementari. Ma via via che l’espansione procedeva, il contenuto dell’Universo si raffreddava, un po’ come avviene al gas all’interno di un palloncino che si dilata. Una delle scoperte più sorprendenti degli ultimi cinquant’anni è che esiste una prova tangibile che il Cosmo si è davvero evoluto a partire da una fase iniziale così semplice ed estrema. Viviamo letteralmente immersi nel residuo fossile dei primi istanti di vita dell’Universo. Pur essendosi espanso e raffreddato per miliardi di anni, l’Universo è ancora pervaso da un tenue calore, appena tre gradi centigradi al di sopra dello zero assoluto. Un calore che si manifesta sotto forma di una radiazione elettromagnetica proveniente da ogni punto dello spazio: una radiazione cosmica di fondo, che possiamo misurare e studiare. Tags:COSMOLOGIA -
Fare astrofisica in laboratorio40
Fare astrofisica in laboratorio
Daniel Wolf Savin, Benjamin J. McCall e Kate Kirby
Non tutti gli astronomi professionisti esercitano la loro attività scrutando il cielo. Alcuni, lavorando nel chiuso dei laboratori, contribuiscono altrettanto efficacemente a svelare i misteri dell’Universo.
Da cosa sono composte le nubi interstellari? Quali sono le proprietà della materia che circonda i buchi neri supermassicci? Perché comete fredde come il ghiaccio emettono raggi X di alta energia? Le risposte a queste domande sono racchiuse negli spettri della luce di questi oggetti. La spettroscopia è infatti lo strumento più potente che abbiamo per esplorare l’Universo al di là del Sistema Solare. Le leggi della fisica ci dicono che ogni atomo, o molecola, emette o assorbe radiazione a certe lunghezze d’onda caratteristiche. Gli astronomi utilizzano lo spettrometro per scomporre la luce proveniente da una sorgente celeste in tutte le sue componenti cromatiche, esattamente come un prisma disperde la luce solare in un arcobaleno di colori. Le righe dello spettro risultante possono essere considerate come un’“impronta digitale” unica e inconfondibile, utilizzabile per identificare particolari atomi o molecole. Da quando Joseph Fraunhofer ottenne il primo spettro del nostro Sole, nel 1814, gli astronomi hanno collaborato con teorici e scienziati di laboratorio per decifrare le informazioni codificate negli spettri cosmici. Il loro lavoro ha favorito innumerevoli avanzamenti in molti campi, tra cui la scoperta dell’elio, la comprensione di quali elementi chimici siano stati prodotti nel Big Bang e la spiegazione dei cicli vitali delle stelle. Tags:ASTROFISICA -
Il Sole nella cupola48
Il Sole nella cupola
Damiano Fedeli
Una mostra al Museo di Storia della Scienza di Firenze ricostruisce i segreti dei grandi orologi solari fiorentini. Tante le iniziative organizzate per questa esposizione, che resta aperta dall’equinozio di marzo a quello di settembre.
“Etroviamo per antiche ricordanze che la figura del Sole intagliata nell’ismalto che dice: En giro torte sol ciclos et rotor igne fu fatta per astronomia; e quando il Sole entra nel segno del Cancro, in sul mezzogiorno, in quello luogo luce per lo aperto di sopra ov’è il capannuccio.” Il linguaggio, non semplicissimo, è di Giovanni Villani, grande cronista della Firenze del Trecento. In questo passo della sua Cronica sta parlando della prima meridiana monumentale del capoluogo toscano, quella nel Battistero di San Giovanni, la costruzione ottagonale che si trova proprio davanti al duomo di Santa Maria del Fiore. Al mezzogiorno del solstizio estivo i raggi entravano da un’apertura sulla cupola del Battistero (un “occhio” simile a quello sul tetto del Pantheon a Roma) e andavano a illuminare una grande lastra in marmo che ancora si può vedere sul pavimento dell’edificio. Qui sono rappresentati i segni dello Zodiaco, e al centro c’è una figura del Sole intorno alla quale corre il verso latino, palindromo (ossia che può essere letto indifferentemente da sinistra a destra e da destra a sinistra), “En giro torte sol ciclos et rotor igne”, ovvero “Ecco, io Sole faccio girare obliquamente i cerchi celesti e sono fatto ruotare dal fuoco”. Tags: -
Cielo profondo con fotocamere digitali54
Cielo profondo con fotocamere digitali
Chuck Vaughn
L’esperienza di un astro-imager che, con la sua Canon EOS 20Da modificata e con interventi in sede d’elaborazione, riesce a riprendere nebulose molto tenui, strappandole al fondo cielo.
All’inizio del 2004 la Kodak annunciò che aveva deciso di interrompere la produzione della pellicola in bianco e nero Technical Pan 2415, da tutti considerata la migliore per l’astrofotografia. Molti di noi si ritrovarono a chiedersi se fosse meglio fare incetta degli ultimi rullini di TechPan disponibili, oppure se passare al digitale. A quel tempo non me la sentivo di investire una cifra importante in una camera CCD e in tutti i conseguenti accessori. Mentre rimuginavo tra queste due scelte, la Canon annunciò l’introduzione di una versione astrofotografica della sua popolare camera digitale EOS 20D: ci pensai un bel po’ e infine decisi che questa EOS 20Da poteva essere la scelta migliore per me. Devo dire che, a tutt’oggi, non ho cambiato idea. La EOS 20Da era una macchina affidabile che oltretutto non richiedeva praticamente alcuna modifica all’equipaggiamento di cui ero già in possesso. Mi servivano solo un adattatore a T per collegare la camera al telescopio e un paio di programmi per calibrare e combinare le immagini in formato RAW. Tags: -
BlueStar controllo senza cavi60
BlueStar controllo senza cavi
Alan Dyer
Un ingegnoso dispositivo permette di controllare dal computer un telescopio Go To, con un software di tipo Planetario, attraverso una connessione senza fili.
C’è una legge universale secondo la quale due cavi vicini, comunque siano messi, finiscono prima o poi per aggrovigliarsi. Questo è tanto più vero se si è al buio. Un corollario di questa legge afferma che anche un filo singolo riesce sempre ad aggrovigliarsi su se stesso. Se mi chiedete perché questo avvenga, vi rispondo che non lo so, ma penso che sia una dimostrazione della correttezza della teoria delle stringhe…. Per quanto mi riguarda, considero un grande progresso tecnologico tutto ciò che serve a eliminare fili e cavi attorno a un telescopio, ed è questo che ci garantisce l’adattatore telescopico BlueStar Starry Night della Orion Telescope & Binoculars: esso permette a un computer di collegarsi a un telescopio Go To attraverso una connessione senza fili. Far funzionare un telescopio con un software di tipo Planetario che giri in un computer, piuttosto che attraverso i controlli manuali, ci assicura il massimo dell’informazione. Generalmente, si ha davanti agli occhi, sullo schermo del computer, una carta stellare che ci mostra verso quale punto del cielo è puntato il nostro telescopio e quali altri oggetti interessanti si trovino nelle vicinanze: a questo punto, basta cliccare su un oggetto qualunque della carta stellare e subito il telescopio si muove per andarlo a puntare. Ebbene, ora, grazie a BlueStar, tutto ciò può avvenire senza il fastidio di un cavo di connessione che si attorciglia attorno al telescopio mentre questo si muove. Bene così! Tags:STRUMENTI