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L’UNIVERSO? Sta tutto in un chip66
L’UNIVERSO? Sta tutto in un chip
Joel R. Primack , Trudy E. Bell
I supercomputer hanno trasformato la cosmologia da una scienza osservativa in una scienza (quasi) sperimentale. Dal Big Bang a oggi nella simulazione “Bolshoi”. E potrà essere verificataI vecchi proiettori ottici mostrano i cambiamenti del cielo notturno, dando informazioni ai visitatori di un Planetario sulle costellazioni e sul movimento dei pianeti. I moderni proiettori digitali possono mostrare anche le posizioni delle galassie lontane e mettere in evidenza la loro distribuzione tridimensionale nel cosmo, permettendo allo spettatore quasi di volare attraverso lo spazio intergalattico. Questo, però, non è ancora sufficiente per i cosmologi, ossia per gli scienziati che lavorano per capire la composizione, la struttura e l’evoluzione dell’intero Universo. Al giorno d’oggi è possibile fare molto di più, utilizzando l’enorme potenza dei computer superveloci, per modellizzare l’evoluzione tridimensionale dell’Universo, da poco dopo il Big Bang fino all’epoca in cui viviamo. La realtà è che la potenza di calcolo dei supercomputer sta letteralmente trasformando la cosmologia in una scienza sperimentale.
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GENOMA PLANETARIO74
GENOMA PLANETARIO
Angelo Adamo
-“Molti pensano che sia nata da un forte impatto occorso molto, moltissimo tempo fa, tra un enorme corpo roccioso, un grandissimo asteroide proveniente da chissà dove, e la nostra Terra ancora giovanissima – oserei dire ‘bambina’ – molto calda, magmatica e malleabile. Urtandola, l’asteroide potrebbe averle staccato un grosso pezzo che, credendosi finalmente libero di correre dove gli pareva, ha tentato di sfuggire al resto della Terra rimasta indietro a soffrire da sola per il colpo ricevuto. Purtroppo per lui, voglio dire… per il pezzo staccato, non ce l’ha fatta: arrivato a una certa distanza, il blocco di magma vagante è stato trattenuto dalle invisibili braccia gravitazionali del nostro pianeta ed è rimasto lì, costretto ad orbitare attorno a noi.” Un refolo di aria fresca si insinuò negli indumenti estivi disegnati proprio per catturarlo meglio e anche la natura circostante, inchinando rispettosa e compatta tutte le teste del prato d’erba alta, sembrò ringraziare per questo breve sollievo concessole dall’afa notturna.
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A CATANIA le stelle brillano sul vulcano62
A CATANIA le stelle brillano sul vulcano
Giuseppe Cutispoto , Angela Mangano
Fondato nel 1876, l’Osservatorio catanese fu pioniere dell’astrofisica in Europa. Opera con una sede in città e una succursale sull’Etna. In primo piano ricerche di fisica solare e stellare e molte collaborazioni internazionaliL’Osservatorio Astrofisico di Catania (OACT) è strettamente legato alla storia della città e all’interesse dei catanesi per le scienze del cielo: lo testimonia l’istituzione presso l’Università di Catania (allora denominata “Siculorum Gimnasium”) di un corso di astronomia, affidato a Francesco Gambino, già nel 1788 e di un corso di astrofisica, forse il primo in Europa, affidato nel 1890 ad Annibale Riccò. La storia dell’Osservatorio di Catania ha inizio nel 1876, quando, nel corso di una solenne assemblea dell’Accademia Gioenia, in occasione delle celebrazioni per il ritorno a Catania delle ceneri di Vincenzo Bellini, l`astronomo Pietro Tacchini, favorevolmente colpito dal clima e dall’alto numero di notti serene sull’Etna, propose di onorare la memoria del grande musicista dedicandogli un Osservatorio astronomico. L’iniziativa fu accolta con grande entusiasmo e il progetto fu approvato e realizzato, sotto la direzione di Tacchini, in breve tempo. Alla costruzione parteciparono il Comune e la Provincia di Catania e i Ministeri dell’Istruzione e dell’Agricoltura, Industria e Commercio.
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Da quanto tempo si dice “ASTROFILO”53
Da quanto tempo si dice “ASTROFILO”
Claudio Marazzini
La parola italiana che indica l’astronomo non professionista compare per la prima volta nel 1929: la usa Luigi Ghirelli, traduttore del libro di Adolphe Quételet Dell’astronomia popolare ma l’avevano già adottata scrittori del Settecento in ambiente arcadico. Contestata la definizione che ne danno alcuni vocabolari: non piace il termine “dilettante”, che non corrisponde bene all’“amateur” del francese e dell’ingleseQuando parliamo della nostra attività di osservatori del cielo, siamo soliti definirci “astrofili”. Il termine è la nostra bandiera, ma probabilmente non ci è mai capitato di far caso alla differenza che intercorre tra questa parola italiana, apparentemente così normale, e i corrispondenti delle altre lingue europee, il francese amateur d’astronomie, lo spagnolo astrónomo aficionado o aficionado a la astronomia, l’inglese amateur astronomer (anche la notissima rivista americana “Sky & Telescope” lo usa comunemente) o enthusiast for astronomy, come suggerisce B. Reynold, general editor del _e Cambridge Italian Dictionary (Cambridge, University Press, 1962). L’italiano, in questo come in altri casi, mostra la sua natura ipercolta: utilizza un latinismo combinato con un grecismo, aster e philos, astro e amico, cioè “amico degli astri”. Il francese, lo spagnolo e l’inglese, invece, vanno d’accordo nell’adozione di una perifrasi semplice, “che ama l’astronomia, amatore dell’astronomia”.
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UNA LUNA COSÌ non l’avete mai vista56
UNA LUNA COSÌ non l’avete mai vista
Jim Bell
Sembrava che si sapesse ormai tutto del nostro satellite. Invece la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter ci sta regalando panorami nuovi e spettacolariUna falsa opinione molto diffusa è che ormai la Luna non abbia più segreti. Dopo tutto, la NASA e altre agenzie spaziali hanno mandato verso il nostro satellite molte sonde a partire dagli anni ’50, e 12 astronauti ne hanno esplorato la superficie e riportato campioni che sono stati studiati nei nostri laboratori per più di quarant’anni. Che cosa dovremmo imparare di più? Bene, se consideriamo gli spettacolari risultati che arrivano di continuo dall’ultimo esploratore automatico, la sonda LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter) della NASA, la risposta alla domanda su quanto dobbiamo ancora imparare sulla Luna è: “Molto!”. Gli scienziati di LRO hanno tracciato la prima mappa globale dettagliata della Luna, sia topografica che infrarossa, e hanno trovato alcune tipologie peculiari di rocce e minerali, del tutto assenti nei campioni delle missioni Apollo. Si tratta chiaramente di scoperte importanti che mostrano che abbiamo ancora molto da scoprire sulla nostra vicina compagna spaziale.
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STELLE INCOMPIUTE42
STELLE INCOMPIUTE
Kristina Grifantini
Metà pianeti, metà stelle, le nane brune appena scoperte hanno la stessa temperatura di una giornata estiva sulla Terra. Grazie alle recenti scoperte, suscitano grande interesse tra gli astronomi anche se è difficile darne una definizione precisaDeboli oggetti stellari grandi come Giove si muovono un po’ dovunque nello spazio, anche se fino a poco tempo fa, pur non essendo lontanissimi, erano del tutto invisibili ai nostri occhi curiosi. Questi oggetti sono le nane brune (spesso denominate “stelle mancate”), caratterizzate dal fatto che non riescono mai a diventare stelle vere e proprie. Incapaci di emettere energia come le stelle normali, sono destinate a raffreddarsi e a diventare scure. Negli ultimi anni, grazie alla missione WISE (Wide field Infrared Survey Explorer) della NASA e ad altri strumenti, gli astronomi hanno trovato conferma dell’esistenza delle più fredde nane brune che si conoscano. Questi enigmatici mondi freddi condividono le caratteristiche sia di stelle di piccola massa sia di pianeti giganti gassosi e ciò permette di acquisire informazioni sull’origine di entrambi.
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MARTE: ARRIVA CURIOSITY Risolverà l’enigma della vita48
MARTE: ARRIVA CURIOSITY Risolverà l’enigma della vita
Cesare Guaita
Il 5 agosto nel cratere Gale si poserà un laboratorio biochimico semovente, il più sofisticato dal tempo dei Viking. Con uno scopo primario: trovare finalmente molecole carboniose di origine naturale o biologica e risolvere un enigma che resiste da 35 anniIl 5 agosto si poserà su Marte il laboratorio bio-chimico più complesso mai lanciato su quel pianeta: un rover da 2 miliardi di dollari e 900 kg di peso partito il 26 novembre 2011. Non a caso si chiama Curiosity, nome scelto da Clara, studentessa del Kansas, vincitrice di un concorso indetto dalla NASA tra 10 mila scuole. Curiosity (nome tecnico MSL, Mars Science Laboratory) dovrà infatti risolvere l’affascinante e annoso problema della vita su Marte. Per capire la complessità della questione occorre fare un passo indietro. Capita a volte che si acquisiscano dati scientifici in anticipo sulla tecnologia necessaria per interpretarli: è questo il caso degli esperimenti che le due sonde Viking condussero su Marte negli anni ’70 con l’intento di ricercare tracce di vita presenti o passate. I risultati furono così controversi che, dopo 35 anni, nessuno è ancora riuscito a darne una interpretazione completa e univoca.